Rosa Piccante: piacevoli scoperte a Mantova

Rosa Piccante: piacevoli scoperte a Mantova

Eravamo partite nel primo pomeriggio, con la macchina di Marta, la mia era dal meccanico da qualche giorno, tagliando e qualche problema di gioventù ne avevano causato il momentaneo ricovero in officina. Non che quella di Marta se la passasse tanto meglio, ma insomma era l’unica alternativa possibile al treno, che non amavamo molto.

Arrivammo nel primo pomeriggio a Mantova, città d’arte, seconda a nessuna, dicono da queste parti. E come dargli torto! Mantova è ancora raffinata ed elegante così come l’hanno voluta i Gonzaga. La piazza Sordello con il Palazzo Ducale e la stupenda “camera degli sposi” del Mantegna; il Duomo, nella stessa piazza; la rotonda di S. Lorenzo in piazza delle Erbe, a fianco della torre dell’Orologio; la chiesa rinascimentale di S.Andrea col grandioso interno; il museo Tazio Nuvolari, con numerosi cimeli del “mito” mantovano; il Castello di S.Giorgio, in posizione scenografica tra il lago di Mezzo e il lago Inferiore; il Palazzo Te, magnifica villa cinquecentesca dove si possono (e si dovrebbero) ammirare gli affreschi di Giulio Romano.

Prendemmo alloggio in un grazioso albergo nel centro storico, a due passi da piazza Sordello. Alla reception Pablo, un ragazzo di origini cubane registrò i documenti. Non era niente male, sorriso aperto e cordiale, professionale ma molto affabile. Ci diede una piantina della città e ci consigliò la visita dei maggiori monumenti. Chiaro, sono sempre i soliti, ma lui ce li descrisse con dovizia di particolari che a noi sembrava di averli già visitati. Ringraziammo e uscimmo in perlustrazione. Avevamo un paio di giorni a disposizione, e una gran voglia di camminare.

Prima tappa in piazza Sordello e al vicino Palazzo Ducale. Rimanemmo estasiate una volta entrate nella “camera degli sposi”. I dipinti e le cromie ci fecero rimanere a bocca aperta. Quasi come la vista di quel ragazzo alto e biondo. Doveva essere scandinavo, a giudicare dai lineamenti. Guida alla mano, osservava in maniera ossessiva i dipinti, prima, poi spostò l’attenzione su noi due. Ci sentivamo “interrogate” dal suo sguardo, seppure gentile e educato. Venne incontro a noi, chiedendoci un’informazione con un accento tedesco. Era altoatesino, di Bressanone. Doveva preparare la tesi sui Gonzaga e questo spiegava il motivo di tanta attenzione ai particolari. Non riuscimmo ad aiutarlo, tanto ne sapeva più di noi. Ci propose di continuare la visita assieme a lui. Accettammo, convinte di avere una guida personale. Herman si dimostrava competente e minuzioso nella descrizione, e ci fece capire molte cose sulla storia della famiglia Gonzaga. Una vera guida. Tant’è che proponemmo di andare a cena insieme, accettò l’invito con entusiasmo.

Nel rientrare in albergo per una doccia veloce, Pablo ci lanciò delle occhiate intriganti, che nulla avevano a vedere col rapporto albergatore/cliente, ne fummo sorprese ma non dispiaciute, visto che era un gran bel figo. Si vede che eravamo in “tiro”, quando scendemmo furono ancora più insistenti e ci chiese dove eravamo dirette. Ci consigliò un ristorante in piazza delle Erbe, tavoli all’aperto e un gran panorama sui principali monumenti della città. Soprattutto ci fece capire che se volevamo la sua compagnia ne sarebbe stato ben lieto. Marta indossava un vestito leggero sopra il ginocchio, con una generosa scollatura dietro, la sua schiena rimaneva nuda, lasciando campo libero a varie fantasie sessuali. Io, più semplicemente mi ero messa i jeans, che davano risalto al mio sedere, una delle mie parti migliori, e una camicetta a fiori. Incontrammo Herman all’incrocio e ci salutò con la mano. Lo raggiungemmo e ci avviammo al ristorante consigliatoci da Pablo. A tutti gli effetti meritava sia per la vista, sia per i piatti. Tipici mantovani, ma di ottima fattura. Bevemmo del Lambrusco, fresco e frizzante. Volevamo immergerci nell’enogastronomia del luogo, del resto ci comportavamo così ogni volta che visitavamo un posto nuovo. Capimmo in un attimo che Herman era molto interessato alle gambe di Marta, e non solo a quelle, legarono subito, conversando a quattr’occhi. Mi sentivo in imbarazzo, avrei voluto lasciarli da soli, diamine, dove andavo a quest’ora di notte in città, se non a fare una passeggiata e poi in albergo…

Mi venne in aiuto…Pablo, proprio lui, aveva finito il turno di lavoro e stava arrivando in bicicletta, si fermò a fare due chiacchiere con noi, mi propose di fare un giro in bicicletta. Accettai dicendo a Marta che ci saremmo viste in albergo. Così in un colpo solo evitai la situazione scomoda del “moccolo”. Pablo mi fece salire sul “cannone” e si diresse al lago. Era una circostanza da adolescente, il sentirmi abbracciata e protetta dalle sue braccia muscolose mi riportava alla gioventù quando salivo con mio fratello, ma ora ero cresciuta e Pablo non era mio fratello, il suo sfioramento mi procurava dei leggeri brividi alla schiena. Mi parlava vicino all’orecchio e mi piaceva il suo suono melodico, dall’accento spagnoleggiante.

Arrivati al lago ci mettemmo a passeggiare e mi spiegò il motivo per cui si trovava in Italia. Aveva un fratello sposato con un’italiana di Modena e lui gli aveva procurato un posto di lavoro a Mantova. Aveva lasciato la sua terra per un lavoro, e forse per un cuore, chissà. Sta di fatto che mi cinse la vita e si avvicinò alla mia bocca, mi schioccò un bacio sulla guancia e poi mi baciò in bocca, risposi con passione. Ci sdraiammo sull’erba, era fresca e umida, come il mio sesso. Infilò la mano nella camicetta, non indossavo reggiseno, arrivò subito ai capezzoli, diventati turgidi al solo contatto. Sentivo premere il suo membro duro contro la mia coscia, gli slacciai i jeans e lo liberai da quello strazio. Lo presi in mano, quasi soppesandolo, era di ottima fattura e mi piegai in avanti per baciarlo. Feci ruotare la lingua sul prepuzio e glielo aprii, muovevo la lingua in tondo e ogni tanto lo mordicchiavo, sentivo la sua eccitazione crescere sotto i miei baci. Lui mi fece alzare e mi sfilò per buona parte i jeans, all’altezza delle ginocchia, rimasi con le sole mutandine a baluardo della mia intimità. Per poco però, alzai il sedere e me le tirò giù, fino ai jeans. Mi carezzò il monte di Venere con delicatezza, poi a gambe strette, iniziò a leccarmi le labbra e il clitoride. C’era solo qualche coppia di giovani in giro, ridevano e scherzavano, noi al riparo dietro ad un albero continuavamo nelle nostre effusioni d’amore. Cercava di introdurre la lingua nel mio pertugio, peraltro stretto a causa dei jeans, fui contenta quando me li sfilò del tutto.

Aveva campo libero, mi aprì le gambe e affondò il suo viso nella mia vagina bagnata. Succhiò lentamente il clitoride facendolo ingrossare, ora mi pulsava in maniera vertiginosa, volevo i suoi baci e qualcos’altro. Mi lesse nel pensiero, si alzò da quella posizione e mi penetrò con tutta la forza che aveva in corpo. Sembrava ci stessimo cercando da una vita. Ci muovevamo in sincronia, godendo l’uno dell’altro. Le nostre lingue si cercarono in un bacio appassionato. Senza smettere con i movimenti, cambiava ritmo di continuo, prima piano, poi forte e mentre stavo raggiungendo l’orgasmo mi mordicchiò un capezzolo, lo attirai a me e lo strinsi al mio petto mentre sentivo il suo sperma che mi colava lungo le cosce…

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